giovedì 13 dicembre 2007

...non bruciamoci il futuro!



Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri il comunicato del "comitato per il diritto alla salute" di Macomer, che stà portando avanti la battaglia contro l'inceneritore di Macomer, ormai in funzione da 20 anni, e che oggi dopo il fallimento del progetto di Ottana si cerca di ammodernare e ampliare!






COMITATO PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
Il Comitato per il diritto alla salute nasce dalla convinzione che è sempre più frequente e
inquietante l’aumento di malattie (tumori e altre patologie) nel nostro territorio.
Le cronache italiane ed internazionali denunciano sempre più spesso danni per la salute
causati dagli impianti di incenerimento dei rifiuti soprattutto quando sono costruiti presso i
centri abitati.
E’ ormai certo che il “termovalorizzatore” di Ottana, fortunatamente, non verrà costruito.
Non è altrettanto certo che l’inceneritore di Tossilo non verrà ampliato e nemmeno si parla
della sua chiusura.
Come singoli cittadini ci sentiamo dire, ormai da anni, che non esiste alcuna prova di danni
per la salute, ma non sentiamo mai dire ufficialmente che esistono prove di non
pericolosità.
Riteniamo che sia giunto il momento di esigere garanzie documentate e di chiedere
approfondite informazioni sulla ventennale attività dell’inceneritore di Tossilo, in risposta
alla crescente preoccupazione della popolazione;
La difesa della nostra salute non deve essere oggetto di scontri tra schieramenti politici che,
francamente, non interessano affatto di fronte a timori di questo genere.
Il comitato chiede maggiore tutela per la salute pubblica, valore assoluto e primario, perciò
NOI CITTADINI
chiediamo al Sindaco, garante della salute collettiva, di
- organizzare al più presto un incontro fra gli amministratori del territorio, aperto
alla cittadinanza, per fornire informazioni sul futuro dell’inceneritore e della discarica di
Monte Muradu;
- domandare con rinnovata determinazione un indagine epidemiologica sul territorio al
fine di evidenziare l’incidenza di gravi patologie;
- verificare la presenza di nanopolveri: recenti studi, mai smentiti dagli organi ufficiali di
controllo, affermano che gli impianti di nuova generazione producono particelle molto più
pericolose perché talmente piccole da non poter essere trattenute dai filtri;
- effettuare urgentemente analisi dei terreni, delle carni e dei latticini per verificare
l’eventuale accumulo di sostanze cancerogene, come le diossine, e di renderne noti i
risultati;
- promuovere con maggiore energia la raccolta differenziata ed esigere che venga
attuata in tutti i Comuni che conferiscono i loro rifiuti all’impianto di Tossilo;
- sospendere, in attesa dei risultati di queste richieste, ogni modifica o potenziamento
dell’impianto di Tossilo ed impedire che ciò avvenga senza prima procedere ad una
consultazione della volontà popolare poiché tali decisioni vanno inevitabilmente a ricadere
sulla salute pubblica.
Il comitato può essere contattato:
tramite casella di posta elettronica mi.rifiuto@tiscali.it
telefonicamente ai numeri 328 4530989 - 333 2517453

martedì 11 dicembre 2007

Sinistra: Una grande assemblea popolare


Dal sito nazionale del Partito



di Walter De Cesaris (segreteria nazionale Prc-S.E.)

Una due giorni come una assemblea popolare. Migliaia di persone che hanno invaso la nuova Fiera di Roma al di là di ogni aspettativa. Una discussione vera, attraversata dalle pulsioni, dai sentimenti, dalle opinioni di dirigenti, militanti, donne e uomini che si sono ritrovati assieme e hanno attraversato l’assemblea come uno spazio comune.Se qualcuno pensava a un incontro di stati maggiori, a una cerimonia retorica e scontata in cui tutto era deciso prima, alla fredda rappresentazione di una proposta timida e contraddittoria, è stato clamorosamente smentito.Le stesse modalità di svolgimento delle due giornate romane hanno segnato questo carattere aperto, partecipato, non scontato.A cominciare dai dibattiti nei 9 tavoli tematici del sabato, a cui se ne sono aggiunti altri, nati spontaneamente, tra cui quello autoconvocato dalle associazioni e dai movimenti che ha discusso fino a tarda sera e ha elaborato un documento che è stato letto all’assemblea plenaria del giorno dopo.
Una modalità aperta che ha reso l’idea di freschezza e vivacità che ha colpito anche i giornalisti che vagavano nei corridoi e entravano e uscivano dalle sale gremite dei workshop. Come è stato scritto, “si respirava aria frizzante di champagne di buona marca”. Un evento intenso ed emozionante ma per nulla pacificato o pacificatorio. Il conflitto, anzi i conflitti, lo hanno attraversato profondamente. Il conflitto che è stato proposto dalle femministe che hanno contestato , non solo le modalità di svolgimento, ma la natura del processo unitario in atto, chiedendo una svolta radicale nella direzione dell’assunzione fino in fondo della cultura della differenza non come aggiunta ma come costitutiva della sinistra. Una contestazione che ha attraversato la due giorni e che ha costruito uno spazio di discussione del tutto nuovo.Il conflitto che è stato proposto dalla delegazione numerosa dei comitati contro la nuova base di Vicenza e che ha chiesto una coerenza e una assunzione di responsabilità da parte della sinistra. Una risposta che è venuta dalla richiesta di moratoria che è stata presentata dai Ministri della sinistra e dalla riaffermazione dell’impegno a fianco della popolazione vicentina.
Molti corvi hanno volato sopra la Fiera di Roma, cercando di determinare una depressione dell’evento. Anche su questo, la smentita non poteva essere più sferzante. Ingrao non solo non è voluto mancare ma, anche lui, vecchio disobbediente, ha sconvolto la scaletta degli interventi dell’assemblea, chiedendo la parola, in maniera non rituale. Non solo non si è dissociato, come volevano fargli dire, ma ha incoraggiato ad andare avanti con più decisione, con maggiore forza.Gli interventi dei segretari delle forze politiche, quelli degli altri esponenti della sinistra, come Nichi Vendola, di alcuni tra i più importanti esponenti del mondo del lavoro, come Gianni Rinaldini, del movimento pacifista, come Lisa Clark, del movimento per i diritti civili, come Aurelio Mancuso, del mondo della cultura impegnato nei movimenti, come Paul Ginzburg, sono stati sicuramente importanti per segnare il senso di un impegno che parte. Non vorrei, però, che fosse messo da parte il lavoro di discussione dei tavoli tematici. Lì, tra quelli ufficiali e quelli autogestiti, hanno preso la parola circa 500 persone, un materiale importante, da non disperdere. Di quel materiale saranno fatti report che dovranno essere messi nel circuito partecipativo che prenderà avvio da questa due giorni.
Ebbene si, l’8 e 9 a Roma, tutto è stato meno che l’avvio di una fusione a freddo. E’ stato un vero successo. Ma, dobbiamo avere bene in testa che siamo solo all’inizio. Le vere difficoltà cominciano ora.Dobbiamo praticare gli impegni assunti a Roma: assemblee in tutte le città, aperte ad associazioni, movimenti, donne e uomini singoli, un vero confronto sulla proposta carta di intenti. Entro febbraio, nel fine settimana tra il 23 e 24, un vero pronunciamento del popolo della sinistra.E, dentro questo processo di costruzione, l’apertura di un vero confronto sul governo, le sue priorità, l’agenda delle cose da fare. La sinistra non si costruisce a tavolino o in laboratorio ma dentro la ripresa del conflitto sociale. Temi fondamentali come la questione della sicurezza del lavoro, del salario, dei diritti civili da estendere, della pace e della riduzione delle spese militari sono centrali.

La costruzione del soggetto unitario, plurale, federale della sinistra serve a questo oppure non serve.A nessuno è chiesto di sciogliersi, nessuno annette le altre culture politiche, il termine federale non si rivolge solo alle forze politiche ma anche ad associazioni e movimenti, il carattere popolare chiede che anche chi non è iscritto ai partiti possa avere piena cittadinanza.L’8 e 9 dicembre a Roma, non è stato altro che un debutto. Il bello comincia adesso ed è nelle nostre mani.

giovedì 6 dicembre 2007

No D-10

Sabato 8 Dicembre
CONTROVERTICE
Dopolavoro ferroviario (ex cinema Adriano)
Via Sassari 12- CA
Domenica 9 Dicembre
MANIFESTAZIONE
Concentramento ore 15,00 Piazza Yenne
Lunedi 10 Dicembre
CENA POPOLARE
Dalle ore 20,00 Terrapieno- Viale Regina Elena
Per Maggiori Informazioni visitate il sito;

Chavez, il socialismo che avanza!



I risultati ufficiali resi noti stanotte a Caracas, dicono che i NO alla trasformazione in senso socialista della Costituzione bolivariana del 1999, voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero vinto con una differenza di appena 124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo il 50.7% di voti contro il 49,3% di Sì. Dato decisivo è stato la crescita dell'astensione, al 45% contro il 30% circa di tutte le consultazioni importanti degli ultimi anni.
di Gennaro Carotenuto






Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno di invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva, alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi di sempre.
IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima espansione.
Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano.


Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso allendista e ancor di più berlingueriano: "la rivoluzione per via elettorale non si può fare con il 51% dei voti". Durante la campagna elettorale cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si tratta di fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma di fare un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e in democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con un margine ristretto di voti.
Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri. Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto rinunciare.
La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla continua manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano.
L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!).
MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno importante del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un burattino del regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche migliaia di voti. Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente riconosciuto la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle, tutte balle e qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere, dalla stampa venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi Battista, i Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais.

La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le opinioni? Forza, fuori i fatti!
In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti di opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad esserci un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena libertà di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad avere dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso gli stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile 2002.
La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si espandesse.
E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi media di comunicazione è sempre stato un antichavismo ideologico. In questi anni non hanno mai raccontato il Venezuela bolivariano, non hanno mai criticato Chávez per i mille difetti o errori che può avere commesso in questi anni. Quelli non importavano; era più facile costruire una maschera di bugie intorno al verboso negraccio dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete, del fallimento storico del neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia partecipativa e degli sforzi sovrumani per restituire dignità a milioni di vittime del modello instaurato in America latina.
Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati indipendenti ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale. Siccome il pensiero unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia chiunque osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va castigato, denigrato, demonizzato.
E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura...
http://www.gennarocarotenuto.it/

La sinistra si confronta, la sinistra che discute !!


"Il progetto del governo è fallito, noi siamo già oltre l'Unione" Intervista a Fausto Bertinotti


di MASSIMO GIANNINI
"Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l'Unione non si è realizzata...". Alle cinque del pomeriggio, nel suo ufficio a Montecitorio, Fausto Bertinotti sorseggia un caffè d'orzo, e traccia un bilancio amaro di questo primo anno e mezzo di governo.
È presidente della Camera, ci tiene a mantenere il suo profilo istituzionale, non vuole entrare in campo da giocatore. Ma le sue parole, quelle del vero leader della sinistra radicale, alla vigilia del meeting della Cosa Rossa di sabato prossimo, lasciano un solco profondo nel cammino della legislatura e nel destino delle riforme.
Bertinotti non fa previsioni, sulla durata del governo. "Non posso, non voglio", dice. Ma fa un ragionamento politico per molti versi "definitivo", sullo stato della maggioranza. "Voglio premetterlo: non ci deve essere nervosismo, da parte di Prodi. Usciamo da questa prigione mentale: io non so quanto andrà avanti, può anche darsi che duri fino alla fine della legislatura, e non ho nulla in contrario che questo accada. Ma per favore, prendiamo atto di una realtà: in questi ultimi due mesi tutto è cambiato". È nato il Pd, e la Cosa Rossa viaggia verso lidi inesplorati. Nel frattempo, Prodi ha accontentato i "moderati", sia sulla Finanziaria, sia sul Welfare.
Per il capo di Rifondazione ce n'è abbastanza per dire che "una stagione si è chiusa". Ora niente sarà più come prima: "Un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi, e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone: ecco, questo progetto non si è realizzato. Già questo ha creato un forte disagio a sinistra. Poi si sono verificati fatti che lo hanno acuito. Ne potrei citare centomila...". Risultato: "Abbiamo un governo che sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra".
Questa, per Fausto il Rosso, è "la condizione reale". E forse irreversibile. Bertinotti cita Lenin, e la differenza tra strategia e tattica. "Il grande tema, per la sinistra radicale, è uno solo: l'autonomia. Torna una grande questione, che nacque nel '56, con i fatti di Ungheria, con la rottura nel Pci, con lo scontro Nenni- Togliatti. Lì nasce una grande cultura politica, una storia enorme, Riccardo Lombardi. È l'autonomia di un progetto, che da allora la sinistra ha cancellato, rimosso. Oggi, per la sinistra radicale, il tema si ripropone. Devi vivere nello spazio grande e nel tempo lungo, per creare una grande forza europea per il 21° secolo. Se questa è l'ambizione, allora tutto va ripensato. Essere o meno alleati del Pd, stare o meno dentro questo governo: tutto va riposizionato in chiave strategica".
Questo riposizionamento strategico, secondo Bertinotti, è appena iniziato. "Alla fine del percorso - chiarisce il leader - io voglio riconoscere al Pd il diritto a trovarsi gli alleati che vuole, ma voglio garantire a noi il diritto di tornare all'opposizione". Dunque la stagione dell'Unione è al capolinea? "Intellettualmente io sono già proiettato oltre. Ma politicamente ancora no". E qui torna Lenin. Fissata la strategia del tempo lungo, c'è da occuparsi di tattica "hic et nunc", come dice il presidente della Camera. La tattica impone di combattere, ancora, dentro il quadro delle alleanze consolidate, e dentro il perimetro del governo in carica. Ma ad alcune condizioni irrinunciabili: "So bene, e ho persino orrore a pronunciare il termine: "verifica". Ma è chiaro che a gennaio serve un confronto vero, che prende atto del fallimento del progetto iniziale ma che, magari in uno spettro meno largo di obiettivi, rifissa l'agenda su alcune emergenze oggettive. E viene incontro alle domande della società italiana, con scelte che devono avere una chiara leggibilità "di sinistra". So altrettanto bene che queste scelte devono essere assunte dall'intera coalizione. Ma stavolta, davvero hic Rhodus hic salta. Sul Welfare, come si è visto, la sinistra radicale non ha aperto nessuna crisi. Ciò non toglie che il governo ha ormai molto meno credito a sinistra di quanto non lo avesse qualche mese fa...".
Bertinotti rinuncia a fare l'elenco delle "centomila cose" su cui il centrosinistra ha rinunciato a imporre la sua visione ("dalla laicità dello Stato alla politica estera"). "Ma se si vuole tentare una nuova fase della vita del governo, vedo due terreni irrinunciabili: i salari e la precarietà". È soprattutto sui primi, che il "padre nobile" del Prc fonda il suo ultimo avviso a Prodi: "Dai sindacalisti a Draghi, tutti dicono che la questione salariale è intollerabile. Ebbene, io mi chiedo: questa denuncia induce il governo a prendere qualche iniziativa, oppure no? Il 65% dei lavoratori italiani è senza contratto: posso sapere se questo per il governo è un problema, oppure no? In Francia Sarkozy ha aperto un confronto molto aspro, lanciando l'abolizione delle 35 ore e dicendo che se lavori di più guadagni di più: posso sapere se in Italia, dai metalmeccanici ai giornalisti, il governo ritiene ancora difendibili i contratti nazionali di categoria, oppure no? Non c'è più la scala mobile, ma intanto i prezzi stanno aumentando in modo esponenziale: tu,governo, non solo non vuoi indicizzazioni, ma con la fissazione dell'inflazione programmata hai contribuito pesantemente a tenere bassi i salari. Dunque c'entri, eccome se c'entri. E allora, in attesa di sapere cosa farai sui prezzi, posso sapere cosa pensi del problema dei salari? E attenzione: qui non basta più ripetere banalmente che "bisogna rinnovare i contratti". Io voglio sapere se il governo ritiene giuste o meno le rivendicazioni. Voglio sapere se ritiene opportuno restituire il fiscal drag, o se invece si vuole assumere la responsabilità di continuare a non farlo. Insomma, io voglio una bussola. Voglio decisioni che rimettano il centrosinistra in sintonia con la parte più sofferente del Paese. Che altro devo dire? Ridateci Donat Cattin...".
Dunque, appuntamento a gennaio. Se Prodi non raccoglie, questo invito potrebbe essere davvero l'ultimo. Questione di tattica, che per la Cosa Rossa, prima o poi, dovrà necessariamente coincidere con la strategia. Ma allo stesso modo, per Bertinotti, la tattica offre un'altra formidabile opportunità, stavolta a tutto il sistema politico: il dialogo sulle riforme. Stavolta l'accordo è "una possibilità reale". Nei due poli "si è affermata una larga condivisione su due punti essenziali. Primo: l'attuale sistema istituzionale ed elettorale è un fattore di riproduzione della crisi politica. Dalla Finanziaria al Welfare, tutto dimostra che il bicameralismo perfetto non funziona più. Secondo: la lunga transizione dalla Prima Repubblica è fallita. La barca si è messa in moto nel '93, ma non ha raggiunto l'altra riva, è in mezzo al fiume e va alla deriva con un duplice difetto: le maggioranze coatte (buone per vincere ma non per governare) e il trasformismo endemico.
Insomma, questo sistema bipolare è fallito, e tutte le forze politiche hanno capito che se non va in porto una riforma, la crisi istituzionale diventa inevitabile, e travolge tutto. Si apre un panorama da Quarta Repubblica francese".
Di qui la convergenza possibile su un nuovo sistema elettorale. "Il sistema proporzionale, con clausola di sbarramento e senza premio di maggioranza, è una soluzione ragionevole", sostiene Bertinotti. "Soprattutto, è coerente con l'evoluzione del quadro politico: il Pd, il Partito del popolo del Cavaliere, la Cosa Rossa, lo spazio al centro. Siamo in una fase costituente di nuove soggettività politiche. La legge elettorale che scegli non è più levatrice del cambiamento, ma è una sua conseguenza. Con il proporzionale torni alla ricostituzione di alcuni fondamenti di democrazia attiva, che sentiamo ormai vacillare. Torni alla radice della Costituzione di 40 anni fa, torni a individuare nei partiti il cardine del sistema. Sei dentro la nervatura della democrazia, che non può non fondarsi sulla rappresentanza".
A Rifondazione il ritorno al proporzionale è sempre piaciuto. Normale che il suo leader lo benedica. Meno normale, in questo clima di sospetti, è che benedica anche l'apertura del tavolo con Berlusconi: "Senta, qui bisognerà prima o poi che un certo centrosinistra decida se il Cavaliere è un protagonistadella politica italiana, oppure no. Io, che al contrario di Blair considero quanto mai attuale il cleavage destra/sinistra, penso che lo sia. Penso che sia un animale politico, che muove da processi reali di una parte della società, che incorpora l'antipolitica ma dentro una soggettività politica, chiaramente di destra. E penso che Berlusconi abbia preso atto della crisi del sistema e della crisi del centrodestra. Dunque, se rileggo le sue mosse, considero attendibile che anche lui, stavolta, cerchi un accordo per rinnovare il quadro politico-istituzionale".
Via libera alle riforme, via libera alla trattativa con il Cavaliere. Anche in questo caso, Prodi non deve innervosirsi. Finalmente è passata l'idea che il dibattito sulla legge elettorale non pregiudica l'esistenza del governo. "Non ci sono due maggioranza diverse, una per il governo, una per la riforma, che si escludono l'una con l'altra". Ma certo, se vuole durare, il Professore deve imprimere una svolta fin dai primi giorni del 2008. In caso contrario, sarà davvero la fine. L'ultima battuta di Fausto dice tutto: "Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...". Visse ancora alcuni anni. Ma gli ultimi furono terribili.

venerdì 30 novembre 2007

In Rifondazione adesso la discussione è aperta


Dal sito nazionale del Partito


di Anubi D’Avossa Lussurgiu
«Basta»: è la parola chiave per capire cosa accade nella maggiore forza di sinistra della coalizione sulla quale sinora, sino al voto di ieri sera compreso, si è sorretto il governo Prodi. In Rifondazione comunista, pur con conclusioni e ragionamenti diversi fra il gruppo dirigente del partito come fra i più che nel gruppo della Camera hanno scelto il sì alla fiducia e dall’altra parte quanti hanno proposto il voto contrario, quel concetto, «basta», è trasversale.Lo esprime lo stesso segretario nazionale Franco Giordano nella dichiarazione di voto, con le parole «una fase si è definitivamente chiusa» riferite al senso della «verifica» richiesta per gennaio e dalla quale «dipenderà la nostra collocazione politica». Che dunque non è più scontata, intendendo la collocazione nel governo: può rideterminarsi, diversamente. E infatti il «basta» echeggia anche, stavolta nel senso della constatazione oggettiva, in altre parole di Giordano, quelle che riguardano il giudizio sulla subalternità a Confindustria esibita dal governo: «Non siete liberi: quando la politica non è libera, è una politica morta».
E’ il riflesso, d’altronde, della discussione nel gruppo dirigente, che proprio Giordano definisce «vera». Serrata, insomma. Come d’obbligo nella situazione attuale. La cui asprezza è stata registrata, soggettivamente, proprio dal confronto apertosi l’altro ieri nel gruppo del Prc a Montecitorio. Un’asprezza che, votata la fiducia da tutti “per disciplina collettiva”, con l’eccezione di Salvatore Cannavò che per Sinistra critica ha annunciato anche il no di Franco Turigliatto al Senato, resta adesso tutta da affrontare nelle prossime scelte. A partire, con un gioco di parole, dalla verifica della “verifica”.Sulla richiesta della verifica «politico-programmatica» per gennaio, è chiaro che chi ritiene fosse già matura e motivabile una rottura non condivide la dilazione temporale, sia pure aperta anche alla possibilità d’una crisi. E come tutti i media ieri riportavano questo riguarda, conti della votazione nel gruppo martedì alla mano, almeno dieci degli eletti del Prc a Montecitorio. Detto ciò, l’impegno rappresentato dal carattere ultimativo delle parole del segretario del partito ieri in Aula è stato registrato: e con molta condivisione, anche emotiva e anche fra quanti nel gruppo avevano sostenuto la possibilità di votare “no” alla fiducia. Dunque l’atmosfera è quella, come si può capire piuttosto intensa, d’una attesa attenta ed attiva da parte di tutti: perché riguarda il destino stesso del Prc, maggiore forza di quella sinistra che discute di unità ma che al contempo deve rispondere al problema, ormai in primo piano, del bilancio dell’esperienza governativa.
Distintamente, Cannavò ha messo agli atti con la sua dichiarazione di voto di valutare la fiducia di ieri come l’«esito fallimentare di una strategia sbagliata che si illudeva che non Prodi “il Paese sarebbe cambiato davvero”», ne trae il giudizio che «per la Sinistra è una Caporetto» e «per Rifondazione si chiude il senso stesso della propria esistenza» e coerentemente definisce il proprio “no” una «frattura con l’appartenenza al mio gruppo». Ma sia quanti avevano nella riunione dell’altro ieri sostenuto il “no” per conformarsi poi alla scelta della maggioranza sia quanti l’avevano appunto ratificata votando per la proposta di “sì” per «vincolo sociale» avanzata dalla segreteria, ieri si interrogavano sullo stesso problema. E cioè: come si fa, ora, a realizzare la verifica promessa?Tra i primi con il dubbio, quando non una certezza manifestata polemicamente, che si tratti di uno strumento spuntato. In Aula prende la parola a sua volta un esponente della minoranza de “l’Ernesto” come Gian Luigi Pegolo, a dire che già l’imposizione della fiducia «vuol dire che sono venute meno le condizioni minime che giustificavano la presenza del mio partito e delle altre forze di sinistra nel governo». Ma anche oltre i confini delle minoranza c’è chi chiede la messa all’ordine del giorno d’un bilancio politico netto. E l’indipendente Francesco Caruso, personalmente, la mette così, con un po’ di colore: «Per quel che mi riguarda il governo Prodi d’ora in poi si può considerare a pieno titolo un precario con il contratto a termine scaduto».Poi, fra quanti alla verifica danno credito, ci sono le domande aperte sui mezzi per imporla ed ottenerla «vera». E’ d’altra parte quanto viene dibattuto nel confronto in corso nel gruppo dirigente del partito. Che dalla segreteria vedrà la composizione di un “dispositivo” da porre alla discussione della direzione nazionale, convocata per lunedì prossimo. Mentre ci sono organismi territoriali che cominciano a prendere la parola: come la segreteria regionale del Prc lombardo, che sulla «verifica» afferma che «non può attendere gennaio ma deve svilupparsi immediatamente». Ora o a gennaio, una esponente della maggioranza di partito come Elettra Deiana, convinta della decisione formale, chiosa a sua volta: «Per me si potrebbe e si dovrebbe, per imporre la verifica, anche sospendere l’intera delegazione del Prc nel governo». E Peppe De Cristofaro torna al senso di quel «basta» diversamente condiviso: «Oltre il programma, a non esistere più è l’Unione. E l’effetto destabilizzante della nascita del Pd non è un rischio, c’è già».
ROma, 29 novembre 2007